Nonostante le difficoltà economiche, il Paese ha ampliato l’elenco delle patologie da ricercare. Decisiva la collaborazione con la California per i dati di popolazione
Manila (FILIPPINE) – Lo screening neonatale nelle Filippine è stato avviato nel 1996, come progetto pilota in 24 ospedali. L’intento iniziale era quello di formulare delle raccomandazioni per l’adozione del test a livello nazionale e stabilire l’incidenza di sei condizioni congenite: fenilchetonuria (PKU), galattosemia (GAL), iperplasia surrenalica congenita (CAH), omocistinuria (HCY), ipotiroidismo congenito (CH) e deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), noto come favismo.
Poiché non erano disponibili finanziamenti, per sottoporsi al test è stato richiesto il pagamento di una piccola quota di circa 9 dollari. Sulla base dei dati ottenuti è stato avviato un pannello di screening composto da cinque condizioni: da quelle già citate è stato escluso solo il favismo, che però è stato aggiunto nuovamente nel 1998. Nel 2000, 153 ospedali fornivano il test, e nello stesso anno lo screening per l’omocistinuria è stato interrotto per l’assenza di casi riscontrati. Successivamente, nel 2012, è stata aggiunta all’elenco la malattia delle urine a sciroppo d’acero (MSUD).
Ma sono due le tappe decisive: la prima nel 2004, quando il programma è stato reso obbligatorio per legge con il National Screening Act, il quale ha stabilito che l’esame debba essere offerto a tutti i neonati; la seconda nel 2014, quando il pannello è stato ampliato fino a includere 29 malattie congenite ereditarie rilevabili attraverso la spettrometria di massa tandem, fra cui le emoglobinopatie.
Negli ultimi anni, molti Paesi con economie sviluppate hanno intrapreso questo percorso, grazie al progresso della tecnologia e delle conoscenze mediche: i programmi di screening sono stati ampliati, non solo nel numero di neonati sottoposti al test, ma anche nel numero di patologie incluse nel pannello. Questa espansione, sebbene estremamente importante per ridurre la mortalità e la morbilità neonatale, non può essere implementata con successo senza un’attenta valutazione e pianificazione, in particolare nel contesto di Paesi a medio e basso reddito. Avendo delle risorse limitate, questi Stati devono affrontare sfide significative nella selezione delle malattie adatte allo screening e nell’attuazione di programmi sostenibili.
Completare degli studi pilota per dimostrare il valore dell’aggiunta di una condizione al pannello richiede, infatti, molto tempo e denaro. Una valida alternativa è ottenere i dati necessari – sulle patologie, sui metodi utilizzati e sui costi sostenuti – da un altro programma che esamina una popolazione simile di neonati. È ciò che hanno fatto le Filippine con la California, il cui programma di screening è organizzato in modo simile a quello del Paese asiatico e all’epoca includeva nel suo panel oltre 70 condizioni diverse. Così, gli esperti di Manila hanno potuto acquisire importanti dati sulla popolazione dei filippini nati e sottoposti a screening nello Stato della west coast.
La collaborazione con gli USA, però, non si è limitata a questo: il National Newborn Screening and Global Resource Center e la Duke University Medical School di Durham (North Carolina) hanno fornito ai medici filippini indicazioni sulla nuova tecnica di screening con spettrometria di massa tandem, e i fornitori dei prodotti commerciali li hanno assistiti per l’installazione degli strumenti, la pratica di screening e la formazione del personale.
I risultati di questo percorso sono evidenti nel dato reso noto dalla rivista International Journal of Neonatal Screening: nonostante sia scesa all’80,4% alla fine del 2020, per il COVID-19 e la chiusura dei confini fra città, province e isole, prima della pandemia la copertura dello screening neonatale nella popolazione filippina aveva raggiunto la lodevole percentuale del 91,6%.