Nel Paese asiatico la prevalenza della malattia è elevata a causa dell’alto tasso di matrimoni fra consanguinei
Vellore (India) – L’iperplasia surrenalica congenita (CAH), nota anche come sindrome adrenogenitale, è una di quelle patologie sulle quali gli esperti continuano a discutere: non c’è infatti un consenso globale sul fatto che la malattia debba far parte dei pannelli di screening nazionali. Con il termine CAH si indica un gruppo eterogeneo di malattie endocrinologiche rare, autosomiche recessive, che compromettono la steroidogenesi surrenalica. Per queste condizioni è possibile un’efficace presa in carico attraverso la terapia ormonale sostitutiva permanente, per trattare l’insufficienza surrenalica e ridurre i livelli degli ormoni androgeni: con un trattamento adeguato, i pazienti possono avere un’aspettativa di vita normale.
In uno studio di screening su 6,5 milioni di neonati in tutto il mondo, l’incidenza complessiva della malattia è risultata di 1 caso su 15.000 nati vivi; quella della forma classica varia da 1 su 10.000 a 1 su 20.000, mentre quella della forma non classica è di 1 su 1.000. La prevalenza riportata, infine, è di 1 caso su 10-16.000 negli Stati Uniti e in Europa, 1 su 21.000 in Giappone e 1 su 23.000 in Nuova Zelanda.
GLI ESPERTI ITALIANI SONO FAVOREVOLI ALLO SCREENING
Come hanno sottolineato Scott D. Grosse e Guy Van Vliet in un articolo pubblicato sull’International Journal of Neonatal Screening nel 2020, le analisi di costo-efficacia sullo screening di questa condizione hanno prodotto risultati contrastanti. Il motivo risiede in diversi fattori: in primo luogo le differenze tra i Paesi, e in secondo luogo le differenze nei metodi e nei dati utilizzati per la stima degli esiti di salute e dei relativi costi della diagnosi precoce rispetto a quella tardiva.
La malattia, ad ogni modo, soddisfa i criteri di Wilson e Jungner i quali prescrivono le caratteristiche che una condizione deve avere per essere inclusa nel pannello. Pubblicati nel 1968 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono tuttora universalmente riconosciuti, anche se in parte discussi e in via di aggiornamento.
Lo screening per la CAH, al momento, è stato implementato in tutti i 50 Stati degli USA e nella maggior parte degli altri Paesi in via di sviluppo. In Italia, invece, solo tre Regioni effettuano questo esame: la prima è stata l’Emilia Romagna, seguita nel 2005 dalla Lombardia, con delibera regionale, e nel giugno 2022 dall’Abruzzo, con un progetto pilota.
Per gli esperti italiani di screening neonatale non c’è alcun dubbio sulla necessità di inserirla nel pannello nazionale, come hanno sostenuto nella seconda edizione del “Quaderno SNE – Prospettive di estensione del panel”, una pubblicazione curata nel 2023 da OMaR – Osservatorio Malattie Rare. Dopo aver analizzato 35 patologie, infatti, gli specialisti ne hanno individuate dieci – fra cui la CAH – che oggi hanno un test valido e una terapia efficace.
IN INDIA LO SCREENING HA RIDOTTO LA MORTALITÀ INFANTILE
Anche gli esperti indiani sono concordi nel ritenere che la CAH dovrebbe entrare a far parte del loro pannello nazionale, con l’obiettivo di consentire una corretta assegnazione del genere, prevenire la mancata individuazione dei maschi affetti e fornire una diagnosi precoce per ridurre la mortalità nei casi gravi con crisi surrenalica. Come sottolineano gli studiosi sull’Indian Journal of Endocrinology and Metabolism, la maggior parte dei casi di CAH è causata da mutazioni nel gene CYP21A2 che determinano un deficit di 21-idrossilasi (21-OHD). La genetica di questa forma, detta “classica”, è resa più complessa dalla presenza di uno pseudogene altamente omologo (CYP21A1P) che impone numerose limitazioni nell’analisi molecolare: per questo motivo i test genetici non fanno ancora parte della diagnosi di routine della malattia, che dipende principalmente dalla misurazione del 17-idrossiprogesterone (17-OHP).
Rispetto all’Occidente, l’incidenza della CAH in India è elevata (1 caso su 5.762) e ciò può essere attribuito all’alto tasso di matrimoni tra consanguinei nel Paese. Le differenze regionali sono notevoli: la frequenza più alta è stata osservata a Chennai (1 su 2.036) e la più bassa a Mumbai (1 su 9.983), mentre un altro studio condotto in un singolo centro nel sud del Paese su 11.200 neonati ha riportato un’incidenza di 1 su 2.800.
I risultati di questi studi insistono sull’urgente necessità di test genetici del CYP21A2 su larga scala e sull’introduzione dello screening neonatale. La creazione di test genetici affidabili e a prezzi accessibili consentirebbero una diagnosi accurata anche nelle zone più povere del Paese e permetterebbero di identificare il 90% delle mutazioni derivate da pseudogeni. Oltre a ciò, la loro integrazione nello screening neonatale e nei programmi di screening dei portatori porterebbe a una diagnosi precoce, a una migliore valutazione del rischio e a una gestione della malattia basata sulla comunità.
Secondo gli ultimi dati dell’UNICEF, il tasso di mortalità infantile in India è di 29,1 decessi ogni 1.000 nati vivi. Anche con un indice così elevato, non esiste una politica nazionale per lo screening neonatale della CAH; tuttavia, sono stati condotti diversi piccoli studi utilizzando le misurazioni del 17-OHP. Il primo è stato condotto a Hyderabad su 18.300 bambini e ha mostrato una prevalenza di 1 caso su 2.575; da allora, la task force dell’Indian Council of Medical Research (ICMR) ha condotto altri studi in tutto il Paese, per un totale di 104.066 neonati sottoposti a screening. In seguito a questi studi pilota, tre stati – Kerala, Goa e Chandigarh – hanno avviato lo screening per la CAH, finanziato dal governo: il risultato è che ora il loro tasso di mortalità infantile è ben al di sotto della media indiana.