Lo dimostra un’indagine condotta in Irlanda, dove la malattia ha la più alta incidenza al mondo
Dublino (Irlanda) – La fibrosi cistica è la malattia genetica mortale più comune nelle popolazioni di origine nordeuropea e in Irlanda si registra la più alta incidenza al mondo (circa un caso su 1.353 individui). Questa grave condizione multisistemica è associata a costi significativi per il sistema sanitario, dovuti alle valutazioni di routine, ai ricoveri ospedalieri, alle visite al pronto soccorso e ai farmaci. Dato che gli effetti della patologia sulla salute iniziano nei primi anni di vita e il trattamento può essere avviato precocemente, lo screening neonatale è stato adottato in molti Paesi in tutto il mondo e nel luglio 2011 è stato introdotto anche in Irlanda.
Il pannello nazionale irlandese comprendeva fino all’anno scorso solo nove condizioni, ma nel 2024 si è ampliato con l’aggiunta dell’immunodeficienza combinata grave (SCID) e dell’atrofia muscolare spinale (SMA). Nelle intenzioni del Governo c’è anche il progetto di inserire nell’elenco delle patologie ricercate altre condizioni, come la leucodistrofia metacromatica.
Per quanto riguarda la fibrosi cistica, già nel 2009 una revisione sistematica aveva rilevato dei benefici nutrizionali e di crescita nella coorte sottoposta a screening neonatale, sebbene i benefici polmonari a lungo termine rimanessero poco chiari, e aveva anche evidenziato potenziali risparmi sui costi nel raggiungimento della diagnosi tramite screening rispetto alle diagnosi cliniche. Esistono però pochi studi che hanno valutato gli le implicazioni economiche dello screening neonatale per la fibrosi cistica utilizzando i dati dell’assistenza di routine.
Per questo motivo, nel 2013, è stato istituito l’Irish Comparative Outcomes Study (ICOS), che ha il compito di esaminare l’impatto dell’introduzione dello screening neonatale per la fibrosi cistica in Irlanda. Si tratta di uno studio di coorte storico nazionale che mira a confrontare la prognosi dei bambini diagnosticati clinicamente e tramite screening. Questo studio, i cui risultati sono stati pubblicati recentemente sul Journal of Cystic Fibrosis, ha messo a confronto i costi sanitari diretti relativi ai primi due anni di vita dei bambini nati tra metà 2008 e metà 2016, quindi nell’epoca precedente all’avvento dei farmaci modulatori del CFTR (regolatore della conduttanza transmembrana della fibrosi cistica).
Le informazioni sull’utilizzo delle risorse sanitarie sono state ottenute dal Cystic Fibrosis Registry of Ireland (CFRI), dalle cartelle cliniche e dai questionari compilati dai genitori: sono stati inclusi ricoveri ospedalieri, visite al pronto soccorso, appuntamenti ambulatoriali, antibiotici e farmaci di mantenimento. La partecipazione complessiva è stata del 93%: in seguito all’esclusione dei casi di ileo da meconio, sono stati analizzati i dati di 139 pazienti, con follow-up fino a due anni di età, 72 dei quali (il 51,8%) provenivano dalla coorte con diagnosi clinica.
L’analisi economica ha mostrato chiaramente che lo screening neonatale è associato a una riduzione diretta dei costi sanitari per lo Stato: nel modello finale (105 pazienti), i bambini con diagnosi clinica hanno fatto registrare costi annui 2,62 volte superiori. La differenza maggiore fra le due coorti si riscontra nel costo dei ricoveri ospedalieri: il gruppo con diagnosi clinica ha un costo medio di 10.940 euro, rispetto ai 5.070 euro del gruppo sottoposto a screening.
“I risultati di questo studio implicano che i vantaggi dello screening neonatale per la fibrosi cistica si estendono ai costi sanitari diretti sostenuti dallo Stato irlandese”, spiegano gli autori dell’indagine. “Questi dati, inoltre, possono essere in parte traslati ad altri Paesi e consentiranno ai decisori politici nazionali e internazionali di avere una migliore comprensione dei benefici del programma. Sebbene questa analisi abbia avuto luogo nell’era precedente l’avvento dei farmaci modulatori della proteina CFTR, ciò non dovrebbe essere considerato una debolezza. Al contrario, oggi lo screening neonatale potrebbe comportare una riduzione ancora maggiore dei costi sanitari diretti, poiché i bambini possono essere avviati precocemente alle terapie modificatrici della malattia e ridurre in modo significativo la progressione della bronchiectasia, uno dei principali fattori di carico della malattia”.
I risultati appena pubblicati, inoltre, riflettono solo la prima parte dello studio, che è tuttora in corso: la seconda parte seguirà i bambini con fibrosi cistica fino all’età di 8-11 anni. Ciò consentirà anche un confronto più ampio dei costi respiratori, poiché i bambini più grandi possono sottoporsi a spirometria e ad altre indagini. Sarà interessante, poi, estendere l’analisi dei costi, per vedere se i benefici dello screening verranno confermati anche nel lungo termine. Per sondare gli effetti sulla sopravvivenza, invece, ci vorrà ancora del tempo, dato che lo screening è stato introdotto in Irlanda solo da tredici anni.
“È importante considerare che i recenti sviluppi nella cura della fibrosi cistica possono alterare l’impatto dello screening”, sottolineano gli esperti. “Nel contesto irlandese, i farmaci modulatori del CFTR sono diventati disponibili solo di recente. Questi farmaci sono estremamente costosi, ma probabilmente avranno anche degli effetti benefici sui costi, in termini di riduzione delle esacerbazioni e delle ospedalizzazioni, nonché su altri fattori importanti come il miglioramento della qualità della vita”.