La malattia può fare da banco di prova perché non c’è un consenso globale sul fatto che debba far parte dei pannelli di screening. Il caso degli Stati Uniti e dell’Australia
Atlanta (USA) – Fare un discorso generale sul rapporto costo-efficacia dello screening neonatale è molto difficile: come abbiamo già visto in una recente intervista, infatti, occorre fare i conti con la mancanza di dati e con l’eterogeneità delle malattie incluse nei pannelli. Inoltre, non è chiaro in che misura le evidenze emerse da queste analisi siano in grado di influenzare le decisioni rispetto allo screening di specifiche patologie.
Secondo Scott D. Grosse, dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (USA) e Guy Van Vliet, della University of Montreal (Canada), l’iperplasia surrenalica congenita (CAH) può servire da banco di prova, perché non c’è un consenso globale sul fatto che la malattia debba far parte dei pannelli di screening. La CAH è una malattia endocrina rara e potenzialmente letale, causata da un deficit dell’enzima 21-idrossilasi, che nella sua forma classica (o severa) si riscontra in genere in un neonato su 10-20.000. Gli individui con un grado minore di carenza dell’enzima sono classificati come affetti da CAH non classica, che è più lieve, nonostante possa causare infertilità femminile. Questa forma ha una prevalenza nella popolazione di circa un caso su 500, ma di solito non viene diagnosticata.
Come sottolineano Grosse e Van Vliet nel loro articolo pubblicato sull’International Journal of Neonatal Screening, le analisi di costo-efficacia sullo screening di questa condizione hanno prodotto risultati contrastanti. Il motivo risiede in diversi fattori: in primo luogo le differenze tra i Paesi, e in secondo luogo le differenze nei metodi e nei dati utilizzati per la stima degli esiti di salute e dei relativi costi della diagnosi precoce rispetto a quella tardiva.
Il rapporto costo-efficacia dello screening neonatale per la CAH è legato al contesto: nei Paesi a reddito medio, come il Brasile, il potenziale beneficio derivante da morti e menomazioni evitate può essere sostanzialmente maggiore rispetto a quello nei Paesi ad alto reddito, anche se è difficile da quantificare. Nei Paesi a più alto reddito, una maggiore accuratezza delle pratiche di screening, la tempistica della raccolta dei campioni e l’utilizzo di algoritmi multi-livello sono tutti fattori che eliminano la maggior parte dei risultati falsi positivi e quindi migliorano il rapporto costo-efficacia. Lo screening e una comunicazione tempestiva possono ridurre notevolmente il carico per le famiglie, gli ospedali, i medici di base e gli endocrinologi pediatrici, consentendo l’inizio del trattamento prima della comparsa di sintomi gravi. Nonostante i recenti tentativi di quantificare i presunti esiti a lungo termine, i principali benefici dello screening per la CAH continuano ad essere la riduzione dei decessi e della morbilità neonatale acuta con conseguenti ospedalizzazioni.
Non è chiaro in che misura le stime di rapporto costo-efficacia influenzino la decisione di aggiungere una determinata malattia, come la CAH, ai pannelli di screening. Dall’introduzione dello screening neonatale per la fenilchetonuria, all’inizio degli anni ’60, l’adozione o l’espansione dello screening è stata guidata principalmente dalla capacità tecnologica, dall’advocacy e dall’opinione medica piuttosto che da un rigoroso processo di revisione basato sull’evidenza. Nonostante le associazioni a sostegno delle malattie rare possano avanzare argomentazioni economiche per lo screening di una patologia, le decisioni politiche sembrano essere influenzate più da valutazioni qualitative sul valore di una pronta identificazione e di un trattamento precoce, piuttosto che da stime quantitative.
Un esempio è ciò che accadde negli Stati Uniti nel 2005, quando fu adottato il RUSP (Recommended Uniform Screening Panel), l’elenco federale di tutte le malattie raccomandate per lo screening neonatale: la scelta di includere nel pannello anche l’iperplasia surrenalica congenita aveva l’obiettivo di raggiungere l’uniformità a livello nazionale, sostenendo lo screening per i disturbi già esaminati dalla maggior parte degli Stati americani. Il rapporto costo-efficacia, dunque, non rappresentò un criterio.
Nei sistemi federali come quelli di Stati Uniti, Canada, Brasile, Australia e Belgio, gli Stati o le Regioni possono decidere in modo autonomo se e quando implementare lo screening per una determinata patologia. In tutto il mondo – evidenziano Grosse e Van Vliet – sono poche le giurisdizioni che hanno adottato delle procedure formali per l’inclusione del rapporto costo-efficacia nei processi politici che riguardano lo screening. Anche quando queste procedure sono in atto, altre considerazioni possono prevalere sui risultati delle analisi di costo-efficacia e può essere difficile determinare in che modo queste decisioni siano state prese.
Un altro esempio è quello dell’Australia che, nel 2017, commissionò un’analisi di questo tipo per valutare l’attuazione dello screening per la CAH a livello nazionale, la quale concluse che poteva essere economicamente vantaggioso. Tuttavia, l’analisi non fu pubblicata, e neppure il report che spiegava in che modo erano stati applicati i criteri decisionali per formulare la raccomandazione.