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Aminoacidopatie: lo screening neonatale è in grado di rilevarle

Aminoacidopatie: lo screening neonatale è in grado di rilevarle

La dr.ssa Valentina Rovelli: “Per queste condizioni, che rappresentano le malattie metaboliche più frequenti in Italia, la ricerca è febbrile e in continua evoluzione”

Milano – Le malattie metaboliche, identificate anche come errori congeniti del metabolismo, sono più di 1.400, e fra queste uno dei gruppi di patologie più rappresentativo numericamente è costituito dalle  aminoacidopatie. Queste condizioni – ad oggi circa un centinaio riconosciute – comportano l’incapacità da parte dell’organismo di metabolizzare gli aminoacidi, ovvero le unità costitutive delle proteine. “La causa di queste patologie è simile, ma le manifestazioni cliniche possono essere molto differenti”, spiega la dr.ssa Valentina Rovelli, referente dell’Équipe Medica dedicata alla cura e assistenza dei pazienti affetti da Malattie Metaboliche Congenite, parte della Struttura Complessa di Pediatria dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano.

“Si tratta di malattie che, per effetto di mutazioni genetiche, risultano accomunate dalla presenza di un difetto enzimatico con conseguente accumulo di uno o più aminoacidi. Il quadro fenotipico corrispondente è estremamente variabile e variegato, a seconda dell’enzima coinvolto. Nel caso della fenilchetonuria (PKU), per esempio, l’enzima epatico fenilalanina idrossilasi, necessario per il metabolismo della fenilalanina, è carente: ne consegue un accumulo di fenilalanina a livello plasmatico, con effetti tossici a livello di diversi organi e sistemi, specie cerebrali. In altri casi gli aminoacidi coinvolti sono molteplici e diversi. È ciò che avviene, ad esempio, nella leucinosi, chiamata anche malattia delle urine a sciroppo d’acero: in questo caso l’individuo affetto è incapace di metabolizzare tre aminoacidi a catena ramificata (leucina, isoleucina e valina). In un caso, quello della PKU, il danno è dato da un accumulo progressivo nel tempo, con conseguente sviluppo di ritardo neurologico severo, autismo, epilessia; nell’altro, la leucinosi, il danno può insorgere invece acutamente con quadri di scompenso metabolico in grado anche di condurre a coma o exitus”, prosegue l’esperta. “Il trattamento è in tutti i casi, comunque, salvavita”.

Per tutte queste patologie sono disponibili degli interventi terapeutici efficaci, che possono almeno ridurre considerevolmente, se non eliminare, il rischio di eventi avversi. In molti casi si tratta di un intervento dietetico, gestito in team multidisciplinare tra medici e dietisti e caratterizzato dalla riduzione o esclusione di determinate categorie alimentari; a questa modifica della dieta deve essere eventualmente associata l’integrazione con sostituti proteici e supporti vitaminici. In altri casi la terapia è farmacologica, e prevede l’utilizzo di medicinali in grado di sostituire l’enzima mancante: per la fenilchetonuria, ad esempio, nel 2019 è stata approvata in Europa una terapia enzimatica sostitutiva, indicata per i pazienti sopra i 16 anni che non riescono a ottenere un buon controllo metabolico con la dieta. Per altre patologie non esistono ancora trattamenti simili e la dietoterapia rimane il cardine della terapia, in altri ancora l’unica alternativa  possibile è rappresentata dal trapianto.

“Per queste condizioni la ricerca è in continua evoluzione”, sottolinea la dr.ssa Rovelli. “Sono attualmente in corso diverse sperimentazioni che hanno come obiettivo il trattamento della patologia, sia agendo direttamente sulle sue basi genetiche, sia con terapie basate sull’RNA messaggero. Le basi teoriche di questi nuovi approcci terapeutici potrebbero trovare un campo d’azione in molte malattie metaboliche congenite, per cui le aminoacidopatie potrebbero costituire un primo esempio di fattibilità”.

È difficile individuare il numero corretto complessivo di soggetti affetti, data la grande numerosità delle patologie incluse e le caratteristiche estremamente differenti di ognuna. È tuttavia possibile stimarne l’incidenza per singole patologie, come anche riportato dal recente studio pubblicato sull’International Journal of Neonatal Screening da un gruppo, di cui fa parte anche la dr.ssa Rovelli, composto dai maggiori esperti italiani di screening neonatale: le aminoacidopatie sono state riconosciute come le malattie metaboliche più frequenti in Italia.

Le aminoacidopatie per cui è disponibile una terapia efficace e una possibilità di gestione rientrano nel pannello nazionale di patologie oggetto di screening e possono quindi essere rilevate direttamente attraverso lo screening neonatale esteso (SNE): per la conferma diagnostica sarà poi necessario approfondire il risultato del test con ulteriori esami biochimici, urinari e genetici.

In Italia possono non aver ricevuto una diagnosi i soggetti nati prima dell’introduzione dello SNE (2016), oppure gli individui nati in Paesi in cui non è previsto. “Tali soggetti vengono talvolta inquadrati, in modo generico, come affetti da disturbi dello spettro autistico o da alterazioni neurologiche”, conclude la pediatra. “È importante essere a conoscenza di questo gruppo variegato di patologie per poterle ricercare ed eventualmente diagnosticare in quei soggetti che non hanno avuto la fortuna di ricevere una diagnosi precoce. Nonostante lo scopo dello SNE sia dunque la prevenzione dei danni delle patologie di cui sopra, anche in caso di diagnosi tardiva è fondamentale ricorrere al trattamento più indicato al fine di ridurre i sintomi”.

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