Un’indagine della Società Italiana di Pediatria ha permesso di fotografare tratti comuni e differenze tra le Regioni
In Italia, come abbiamo avuto modo di ribadire più volte, il pannello di patologie oggetto di screening neonatale è fermo – se pensiamo di fare riferimento alla normativa nazionale – a quanto previsto dalla Legge 104/1992, prima, e dalla Legge 167/2016. In attesa di una modifica del riferimento nazionale, dunque, molto è demandato alle autonome iniziative delle Amministrazioni Regionali, chiamate a fare i conti anche con la copertura dei costi in regime di LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) o extra-LEA.
Tra le patologie rare in prima fila quando si parla dell’inserimento nel nuovo – aggiornato e ampliato – pannello di screening neonatale, ci sono le malattie da accumulo lisosomiale (LSD) e l’immunodeficienza combinata grave (SCID).
Su queste si è concentrata la mappatura realizzata da un team di clinici impegnati quotidianamente proprio nello screening neonatale, con il contributo dei Presidenti delle Sezioni Regionali della Società Italiana di Pediatria (SIP), pubblicata proprio sulla rivista ufficiale della SIP.
LO SCREENING PER LE MALATTIE DA ACCUMULO LISOSOMIALE IN ITALIA
Lo screening per le malattie metaboliche da accumulo lisosomiale – nello specifico per malattia di Pompe, di Gaucher, di Fabry e Mucopolisaccaridosi di tipo I – è attualmente attivo solo in poche Regioni. Nello specifico viene eseguito in Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Veneto (tranne che nel Veneto occidentale – centro di Verona), Toscana (in quest’ultima esclusa la malattia di Gaucher) e Abruzzo (eccetto la malattia di Pompe).
LO SCREENING PER L’IMMUNODEFICIENZA COMBINATA GRAVE IN ITALIA
Lo screening per l’immunodeficienza combinata grave (SCID) è ad oggi effettuato in 6 Regioni: Veneto, Liguria, Toscana, Abruzzo, Puglia e Sicilia ed è in fase di avvio in Lombardia, dove partirà da febbraio 2025, in Emilia – Romagna e in Umbria.
I PERCORSI DIAGNOSTICO-ASSISTENZIALI SUL TERRITORIO
Oltre a mappare la capillarità degli screening per LSD e SCID, i ricercatori hanno voluto verificare se le Regioni avessero definito i percorsi diagnostico-assistenziali idonei e identificato i Centri clinici di riferimento per queste nuove malattie soggette a screening neonatale.
I dati raccolti mostrano come solo 7 delle 13 Regioni che hanno avviato lo screening neonatale per i nuovi gruppi di malattie abbiano definito i relativi percorsi diagnostici e i criteri di identificazione dei Centri clinici di riferimento per malattia. Queste disomogeneità organizzative – scrivono i clinici – comportano il rischio che il tasso per positività allo screening possa comportare una inutile presa in carico di bambini con basso rischio di malattia con costi aumentati e sovraccarico per i Servizi sanitari regionali o addirittura di ritardi diagnostici. Inoltre, in molte Regioni, proprio per la mancanza di risorse ad hoc, le attività dei Centri clinici di riferimento per i nuovi screening neonatali sono state avviate senza che venissero attribuite risorse aggiuntive, secondo la previsione che il riconoscimento futuro di queste prestazioni attraverso l’aggiornamento dei LEA avrebbe riparato a questa anomalia.
Dai dati del sondaggio effettuato da SIP nelle 20 Regioni, – conclude la disamina – si evince come, in un contesto in cui dovrebbe essere monitorata e promossa la massima uniformità di applicazione degli screening neonatali, manchi una realtà comune e condivisa, sia in termini diagnostici che terapeutici. In tal senso è necessario implementare la collaborazione con le Regioni per la diffusione delle migliori pratiche in tema di screening neonatale, uniformando i protocolli, i documenti informativi e di consenso, individuando standard comuni per la loro realizzazione e offrendo la medesima possibilità di follow-up ai neonati affetti da malattie individuabili attraverso lo screening neonatale su tutto il territorio nazionale.